Diabolik – Ginko all’attacco! (… e il cine-fumetto all’italiana in panchina)

Sentitevi liberi di chiedere all’ispettore Ginko per conferma, ma si sa che niente e nessuno può fermare Diabolik, nemmeno dal tornare in sala con un secondo film dopo quello uscito (tra svariati ritardi) nel 2021.

Nemmeno il fatto che Luca Marinelli se ne sia andato sbattendo la porta, boicottando tutta la campagna pubblicitaria del primo capitolo, ha rallentato la macchina messa in moto dall’Astorina per portare il suo personaggio simbolo nelle nostre sale. Come promesso, infatti, è appena uscito il secondo dei tre film dedicato al re del terrore, girato in contemporanea con il già annunciato Diabolik 3, in arrivo l’anno prossimo. Per fortuna o purtroppo lascio stabilirlo a voi.

Il primo film dei Manetti Bros. ha incassato benino, ma ha spezzato a metà il pubblico, per qualcuno quei dialoghi impostati, presi di peso dalle pagine dei fumetti delle sorelle Angela e Luciana Giussani, senza il minimo lavoro di adattamento nel passaggio da carta a grande schermo, mescolati a quello stile algido, quasi imbalsamato di recitazione da parte di un cast spaesato (ci sarà un motivo se Marinelli è fuggito più velocemente del personaggio che interpretava, no?), ha fatto urlare al miracolo. Il pubblico e i pareri su “Infernet” si sono divisi tra chi in quella roba ha trovato un film in stile anni ’60, un’ammirevole operazione di ricostruzione del decennio e delle atmosfere del fumetto, mentre altri hanno storto in naso per un anacronistico modo di portare la nona arte al cinema, con un inseguimento iniziale che era il trionfo della staticità e recitazione degna delle migliori (o peggiori, anche qui, fate voi) fiction italiane.

«Biascica, apri tutto!»

Per quanto mi riguarda, la scelta di adattare una lettura veloce come Diabolik (fumetto pensato dall’Astorina per essere letto in treno dai pendolari, quindi rapido e scattante perché poi tocca timbrare il cartellino), con uno stile mummificato, più immobile e datato di un Dick Tracy (1990) qualunque è stata una scelta più che dubbia, non mi metto nemmeno a fare il paragone con i “cinecomics” contemporanei. Esiste però persino un pubblico per un film tanto immobile come il Diabolik dei Manetti Bros: il fatto che io non ne faccia parte non è fondamentale, ma mi aiuta ad introdurre al meglio il film di oggi.

Vi è piaciuto il primo Diabolik dei fratellini Manetti? Allora è molto probabile che apprezzerete anche questo. Il cambio di protagonista ci regala un re del terrore fisicamente meno smilzo e la buona mezz’ora in meno del minutaggio va a favore del ritmo (comunque tendente all’immobilismo) del film. Anche se mi dispiace dirlo, questo è il breve elenco delle novità azzeccate da Diabolik – Ginko all’attacco!, un film che è un gatto di Schrödinger, allo stesso tempo vivo e morto in base al vostro livello di gradimento del primo capitolo, perché la recitazione imbalsamata è nuovamente la stessa, così come i dialoghi strappati dalle vignette e così impostati da mettere a durissima prova la sospensione dell’incredulità. Se pensate che il gioco per voi possa valere la candela, buon divertimento con questo film o buona fuga da esso, magari riuscirete a raggiungere l’imperdibile Marinelli, anzi, iniziamo proprio dalla sua assenza.

Meglio avere come protagonista un bravo attore svogliato o un volenteroso cosplayer?

Uno dei motivi di interesse di Diabolik – Ginko all’attacco! era proprio questo, sono volate teorie in rete su come i Manetti avrebbero gestito il cambio, molti hanno pensato alle numerose maschere di Diabolik, ad un cambio di identità, Marinelli si strappa via la faccia di gomma e da sotto spunta Giacomo Gianniotti che ha l’occhio azzurro giusto e con la sua esperienza in Grey’s Anatomy si sarà sentito a casa in un film che una volta avrebbe funzionato bene sul piccolo schermo, visto che il suo stile lo rende indistinguibile da uno di quei vecchi sceneggiati Rai.

Come hanno fatto i Manetti a giustificare la nuova faccia del loro diabolico protagonista? Se ne sono battuti il cazzo. Come ha fatto Bond a diventare Roger Moore dopo essere stato per una vita Sir Sean Connery? Con lo stesso numero di spiegazioni fornite dai Manetti qui, ovvero nessuna. Dopo il prologo in cui il re del terrore ruba la corona della preziosa collezione, quando zompa al volo sulla Jaguar guidata dalla sua Eva Kant (la solita splendida Miriam Leone) e tutto prosegue come se nulla fosse. Questo spiega perché i Manetti si siano impegnati così tanto ad etichettare questo film non come un sequel, ma come una seconda avventura, abbracciando in tutto e per tutto il modello bondiano anche nei titoli di testa, dove Diabolik mette le mani sul resto della collezione di gioielli sulle note di Se mi vuoi di Diodato, cantante dal nome che coerentemente pare una bestemmia urlata al cielo, visto che è quello che mi ritrovo a fare quando sento i suoi pallosissimi pezzi, vi dico solo che mi ha fatto rivalutare tantissimo la colonna sonora (già di dubbio gusto) di Manuel Agnelli del film precedente, il che è tutto detto.

Diabolik piegato in due, colpito da una fitta alla milza dopo aver sentito il brano di Diodato.

Bisogna dire che i Manetti Bros. si sono divertiti a cercare di riempire il loro film di facce note, quasi a ricordare le origini orgogliosamente proletarie del loro cinema, fa sorridere ritrovare Andrea Roncato o G-Max dei Flaminio Maphia (feticcio dei due fratelli registi), ma verrebbe quasi da dire che anche loro stanno più in scena di Diabolik. Per assurdo se Marinelli avesse deciso di restare a bordo per quelle due scene senza maschera di questo secondo capitolo, non sarebbe servito nemmeno assoldare Giacomo Gianniotti, a cui non basta nemmeno una fumettistica allitterazione nel nome per vedersi superato in termini di minutaggio sullo schermo, anche dalla nuova arrivata Monica Bellucci che aggiunge lenti a contatto azzurre e un atroce accento finto francese alla sua “recitazione” (virgolette obbligatorie). Non vi dico che gioia per le orecchie, in sala qualcuno avrebbe anche potuto sentirmi invocare Diodato con tanto di pugno chiuso agitato verso il cielo, ma tanto eravamo quattro gatti e per di più uno ha russato per tre quarti di film (storia vera).

Riuscite a pensare ad un solo titolo che è migliorato con l’aggiunta di Monica Bellucci? Prendetevi tutto il tempo che vi serve per rispondere.

Pensate un po’, Diabolik – Ginko all’attacco! è liberamente tratto dal 16esimo albo dell’omonimo fumetto intitolato Ginko all’attacco (a volte il mondo è un posto semplice). Albo che non ho letto, ma che si traduce in un film pieno di svariate momenti imbarazzanti, a causa dello stile e dalla regia tendente all’immobilismo dei Manetti, prima di un colpo-di-scena-che-non-è-tale, quanto risulta telefonato e banale.

Diabolik e la bellissima Eva Kant dopo l’ennesimo colpo mandato a segno, vengono braccati da Ginko nella loro Bat-Caverna nel loro covo, grazie ad un trucchetto a base di radiazioni che garantirà alla coppia una vita da fidanzatini senza figli in eterno. La tensione palpabile (chiedete a quello che russava in sala per conferma) continua grazie all’inseguimento più lento della storia del cinema: i poliziotti entrano nel covo a passo lento perché oh, qua bisogna arrivare alle 17.00 per farsi pagare gli straordinari, mentre i due ladri fuggono dall’uscita di servizio lasciando tutte le porte aperte come in un pezzo di Morandi. Ne avessero chiusa anche solo una, Diabolik – Ginko all’attacco! sarebbe durato venti minuti.

Si potrebbe cavillare sul modo di impugnare l’arma, ma con Miriam Leone di mezzo la reazione generale sarà sempre: «Quale arma?»

Nella fuga Eva si fa male come il peggior calciatore di serie A che si getta a terra per farsi fischiare un rigore, Diabolik con molta galanteria le fa il gesto dell’ombrello e la molla lì per non farsi beccare. La bionda si salva grazie ad un tuffo in acqua, un rigagnolo inaridito dalla siccità di quest’estate (quando il film è stato girato) che non sembra proprio il Rio della Amazzoni, fine dell’attacco di Ginko, anche perché all’aeroporto è appena sbarcata la Contessa Serbelloni Mazzanti Vien dal Mare in Bellucci, con il suo ricco brillocco da sfoggiare alla festa più glamour di Clerville e a questo punto, anche quello che russava aveva già capito come sarebbe andata avanti la storia.

A questo punto il film è quasi tutto sulle spalle di Valerio Mastandrea, il suo ispettore Ginko non molla l’osso, nemmeno l’amore segreto della bella contessa che parla come l’ispettore Clouseau può distrarlo dalla sua caccia al re del terrore. Quindi, ad un certo punto, abbiamo Diabolik che ha fatto la scelta, credibilissima per qualunque maschietto eterosessuale di abbandonare per strada Miriam Leone, dall’altra abbiamo Ginko che invece di cedere alle lusinghe della Bellucci pensa a Giacomo Gianniotti e il già citato Diodato che canta “Ma se mi vuoi, io stanotte vengo a prenderti”. Mettiamola così: il vero colpo di scena per questo seguito sarebbe stato abbracciare in pieno la suggerita sottotrama omoerotica e mostrare Ginko e Diabolik intenti a gettarsi reciprocamente la lingua in bocca e invece niente, via per la strada più facile e monotona.

A volte un uomo è da solo perché ha in testa strani tarli Diodato (quasi-cit.)

Diabolik braccato, decurtato non solo del ricco bottino dei suoi colpi, ma anche del macchinario che utilizza per creare le sue maschere in teoria sarebbe alle strette, in pratica il film diventa la storia dell’agente Roller (Alessio Lapice), giovane, sborone e spaccamontagne che nel faccia a faccia con Diabolik va sotto bevendo dall’idrante, poi, per non perdere definitivamente la faccia, cerca di inchiodare Eva Kant (e non facciamo battutacce per favore!), ma viene fregato anche da lei, in una fuga rocambolesca in cui è proprio il corpo svenuto di Roller in mezzo alla strada l’enorme ostacolo che impedisce agli agenti di inseguire la bionda ladra. Siamo sicuri che questi agenti di Clerville siano del mestiere? Già nel fumetto trovano sempre il modo di farsi fregare, ma grazie alle coreografie legnose e alla regia imbalsamata dei Manetti, Diabolik – Ginko all’attacco! potrebbe essere una feroce critica all’operato delle forze armate, oppure uno di quei film in cui tu spettatore non russante, ti senti in imbarazzo per tutti quelli che si stanno giocando la credibilità coinvolti in un progetto del genere.

Su imbeccata di Eva Kant, traditrice tradita nella fiducia dal suo amato, il piano di Ginko all’attacco prevede un camion blindato esca e un camioncino con tutta la refurtiva, guidato da quello che per minutaggio è il vero anti-eroe del film, l’agente Roller che no, non si farà inculare per la terza volta da Diabolik ed è qui che, senza bisogno di aver letto tutti i numeri del fumetto, anche se eravate in sala a russare, avrete già capito il-colpo-di-scena-che-non-è-un-colpo-di-scena del film, anche se i Manetti ci tengono tantissimo a spiegarci tutto, usando un po’ di effetto “Split screen”, l’unico momento del loro film tratto da un fumetto, dove almeno lo schermo prende la forma delle vignette, insomma, sembra un minimo fumettistico. Troppo tardi, troppo poco e comunque ancora Mario Bava se la comanda, visto che il suo Diabolik resta ancora la miglior interpretazione su grande schermo del personaggio delle Giussani.

«Baciami Luca», «Ma io non sono Luca», «Zitto e baciami»

Diventa anche imbarazzante per me parlare di sotto testi in un film tanto telefonato, statico e legnoso, in cui la parte migliore, forse, l’hanno fatta gli attrezzisti, impegnati a riempire le scenografia di auto, giacche, vestiti, occhiali, posacenere e poltrone in puro stile anni ’60, un tentativo riuscito di ricreare Clerville in una storia che dura 111 minuti, ma che ben prima della metà ribadisce per la seconda volta e sempre per la regia dei Manetti che non è il loro Diabolik ad essere un passo avanti a tutti, ma la trame (e gli uomini di Ginko) ad essere due o tre indietro.

Si potrebbero perdere due minuti ad analizzare il fatto che per una certa porzione di trama, i due uomini del film vivono l’amore con le loro donne in modo differente, ad esempio Ginko, ligio al dovere, è diviso tra le ragioni del cuore e quelle del distintivo: vorrebbe stare con la contessa alla luce del sole, ma ha una missione da compiere, che è la stessa di un Valerio Mastandrea sulle uova. Nel finale alla stazione, quel saluto alla contessa, avrebbe potuto diventare cinema vero, un professionista dedito al suo lavoro costretto a restare impassibile davanti alla donna che ama, il momento esatto il cui questo film avrebbe potuto essere Michael Mann, ma invece è solo Manetti.

Un momento che poteva essere grande cinema e non è nemmeno scarsa fiction.

Questo secondo capitolo fallisce due volte, perché aggiusta il minutaggio e sacrifica la scelta di essersi affidati ad un attore vero come Marinelli per scegliere un volenteroso “cosplayer” per rimediare al danno, ma allo stesso tempo non si discosta di un millimetro dall’essere una fiction italiana con budget da vero film. Quindi, se il tracollo da una parte è cinematografico, dall’altra è fumettistico, perché “Diabolik – Ginko all’attacco!” non ci prova nemmeno a risultare più dinamico come il fumetto dell’Astorina da cui è tratto (e il fumetto come media in generale), ma continua lungo i binari rodati, secondo capitolo di una fiction in trasferta al cinema, gatto di Schrödinger sotto forma di film: vi è piaciuto il primo capitolo? Buona visione, con molta probabilità amerete anche questo. Vi ha fatto schifo? Avete 111 minuti per ridere dei suoi momenti imbarazzanti, per maledire con il pugno in aria Diodato o per farvi una sonora russata, sta solamente a voi decidere se vorrete sollevare o meno il coperchio e scoprire la condizione del diabolico micio al suo interno.

Cassidy Plissken

TRAILER

CAST & CREW

Diabolik – Ginko all’Attacco

Regia: Marco Manetti, Antonio Manetti

Interpreti: Giacomo Gianniotti, Miriam Leone, Valerio Mastandrea, Monica Bellucci, Alessio Lapice

Durata 111 minuti/ Italia, 2022

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Commenti

  • Franco Battaglia

    Venti minuti (lenti però) di standing ovation!!!

  • Quinto Moro

    Non credo che lo vedrò in sala perchè dal pezzo del buon Cassidy, tutti i difetti che mi avevano irritato nel primo film sembrano affliggere anche questo capitolo. Ma non mi aspettavo niente di diverso, visto che i due sequel erano già in lavorazione. Ho riso di gusto alla relazione omoerotica tra Ginko e DK, segno che pure stavolta i Manetti non hanno reso il rapporto di reciproco timore e rispetto tra i due personaggi. Ancor di più mi lascia dubbi il rapporto tra DK ed Eva. I Manetti hanno scelto di rappresentare un'idea "arcaica" del personaggio, ancorata ai primissimi anni della serie senza tenere conto di cos'è stato lo sviluppo dei personaggi nei decenni.

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