Intervista a Fabio Segatori

Era il 2012 e Malastrana vhs non era ancora un blog, figuriamoci un sito. Ci venne in mente a me e ai miei compagni a delinquere dell’epoca, Domenico Burzi e Luigi Pellini, di farne una fanzine. La presentai davanti ad un pubblico entusiasta e più numeroso di quello che pensavo al Tohorror del mio amico Max Supporta, una delle rassegne più fighe, se non LA rassegna più figa di sempre in campo horror e fantastico in Italia. Quel progetto finì presto visto i costi di stampa, ma defluì in questo Malastrana vhs. Facemmo il numero 0, ma c’era in cantiere un numero 1 con una copertina spettacolare che presentava Sarah Brooks, la misteriosa interprete di Iron girl di Fabrizio De Angelis, con lo sguardo imbronciato mentre indossava i guantoni. Cinema da combattimento, questo era il tema, cinema da combattimento in tutto il mondo, a 360 gradi. Questo Malastrana su carta non uscì mai, ma rimase negli angoli del mio hard disk. Eccoci perciò nel 2012 quando Domenico Burzi chiacchierò amabilmente con uno dei nostri registi di genere meno conosciuti, Fabio Segatori, colui che con una manciata di titoli aveva cercato di dare internazionalità al nostro cinema d’azione. Un cinema d’azione che non esisteva se non nella dimensione di Claudio Fragasso e pochi altri che, al pari dei pionieri, avevano cercato di rendere più John Woo il desolante panorama di fiction e commedie italiane. Così Segatori con Terra bruciata prima e Hollywood flies dopo, riuscì nel miracolo, far recitare delle star internazionali in prodotti italiani, un po’ come succedeva nei gloriosi anni 70/80 quando nel fantascientifico messicano Il triangolo delle bermude trovavi John Houston a fianco di Gloria Guida. In solo due opere il regista dirige Burt Young, il Paulie di Rocky, Vinnie Jones direttamente dai gangster movie di Guy Ritchie e Casper Van Dien, il biondo marine di Starship troopers di Verhoeven. Ecco ora, dopo 11 anni, quella chiacchierata. 

Buona lettura.

Andrea K. Lanza

 
Malastrana: Come nasce la passione per il cinema e quali sono stati i registi a cui si è ispirato?
 
Segatori: La mia passione nasce con il teatro quando a 15 anni vidi una rappresentazione teatrale, “Sade” di Carmelo Bene, che fu una vera e propria folgorazione, fui attratto dalla molteplicità degli strumenti a disposizione del regista per raccontare una storia. La regia mi ha sempre affascinato, soprattutto avere la possibilità di portare lo spettatore a vivere un’esperienza creativa, che vada oltre la semplice fruizione di un’opera audiovisiva. Per quanto riguarda il cinema di genere, bè, posso dire di aver sempre portato “pantaloni consumati all’altezza della pistola” e questo la dice lunga sul genere che amavo. Per quanto riguarda il regista che più mi ha influenzato, devo dire che con la visione de “La Ballata di Stroszek” (1977), sviluppai una vera e propria ossessione per il cinema di Werner Herzog. Per curare questa ossessione girai un documentario su Herzog, che fu la mia tesi di laurea, la prima tesi audiovisiva, che andò in concorso al festival di Torino, “Il Cuore e le Gambe”, grazie alla quale ebbi la possibilità di conoscere e intervistare Herzog, persona meravigliosa con la quale ebbi un ottimo rapporto. Era il 1987, una delle esperienze fondamentali della mia vita.
 
Malastrana: È ancora in possesso del girato?
 
Purtroppo la morte del produttore ha portato a inevitabili problemi di reperibilità, conservo ancora una Vhs, dovrei chiedere agli eredi per la pellicola.
 
Malastrana: Quali sono state le sue prime esperienze nel campo della regia?
 
Segatori: Girai a 17 anni un cortometraggio intitolato “Uovo”, un ‘opera autobiografica sulla frustrazione del vivere in provincia e sulle problematiche derivanti dalla scelta di voler intraprendere questo percorso artistico, cosa che mi fece litigare con la mia famiglia, contraria a questa aspirazione. Il titolo deriva dal fatto che mi sentivo soffocare come se fossi dentro il guscio di un uovo. La prima. grande esperienza artistica e snodo fondamentale della mia carriera, fu però quella di essere scelto per partecipare al “Gruppo Cinema” di Eduardo De Filippo, un grande onore. Nel corso della mia carriera ho girato tra corti e documentari, circa 20 opere.
 
 
Malastrana: Il documentario sembra essere una forma espressiva a lei piuttosto congeniale. Che cosa la attrae di più di questo mezzo?
 
Segatori: La possibilità di trascendere il documentario o il genere, la possibilità di sviluppare dei “documentari creativi”. Girai un’opera documentaristica su Stromboli nel 1984 in Super 8 con la colonna sonora di Brian Eno, un’opera che vuole andare oltre il documentario prettamente industriale e commerciale. Anzi, progettai anche una serie cortometraggi in 3D, questo nei primi anni novanta, un “viaggio” all’interno del  corpo umano in cui ogni organo presentava un ambiente ed un paesaggio differente, con la colonna sonora composta da Franco Battiato. Sicuramente un progetto “controcorrente” e molto avanti sui tempi, che non trovò alcun interesse da parte dei finanziatori. Però interessò particolarmente Piero Angela, che mi “scippò” l’idea per la sua trasmissione televisiva, realizzandola secondo gli standard televisivi. Io avevo in mente un sorta di “viaggio estetico in 3D”.
 
Malastrana: Che cosa ci può dire degli altri suoi cortometraggi?
 
Segatori: Collaborai con Enrico Ghezzi, quando era direttore del Festival di Taormina. Realizzai la sigla del festival, con il mio corto “Onda”. Io lo chiamavo un “sorbetto audiovisivo”,  realizzato per “sciacquare gli occhi allo spettatore”. Realizzai anche un corto intitolato “Cuore”, una ripresa in bianco e nero del cuore di mia madre, di cui vado molto fiero. Questi miei lavori sono stati tutti trasmessi da “Fuori Orario”. Ricordo con piacere anche il mio “Il Corpo della Cappadocia”, documentario per il quale utilizzai come commento audio il testo di San Giovanni Della Croce. Mi affascina molto il cinema come viaggio interiore, come estasi della visione.
 
Malastrana: Non le sono mai stati offerti progetti registici in ambito fiction? E’ interessato a questo tipo di esperienza?
 
Segatori: Negli ultimi dieci anni ho rifiutato almeno sette offerte serie e concrete per la fiction, tra le quali anche un film su “Maria Goretti”, ma non mi interessava fare un “santino”. Il fatto è che preferisco non fare cose che non mi piacciono e che non amo, quindi ho rinunciato a offerte economiche anche vantaggiose, ma non vi era nessuna possibilità di costruire un progetto interessante. Il cinema per me è stato una battaglia, nel senso che litigai con la famiglia per poter fare quello che amavo di più. Non ci parlammo per un anno. Tutto quello che ho fatto, l’ho realizzato con le mie forze.
 
 
Malastrana: Come è arrivato al cinema “commerciale”?
 
Segatori: Quando andai a vedere “Die Hard” capii che il cinema, quello d’intrattenimento, quello spettacolare, io non lo sapevo fare. Quindi decisi di “tornare dietro i banchi”, e nel 1995 grazie all’application della Comunità Europea ebbi la possibilità di frequentare un master con Jan De Bont, grande operatore e direttore della fotografia hollywoodiano, poi divenuto regista di successi come “Speed”, che mi insegnò come girare un film action, posizione delle cineprese, gestione dei mezzi e degli effetti speciali, insomma una esperienza straordinaria. Rigirai, come esercitazione, un minuto e mezzo di “Die Hard”, per entrare nell’ottica delle produzioni  americane. Passai sette mesi a Berlino. Una volta tornato in Italia, girai un corto in Super8 che voleva essere un mio personale “manifesto del cinema action” dopo l’esperienza con De Bont . Lo intitolai ” A Time for Action”.
 
Malastrana: Prima di “Terra Bruciata” (1994) quali altri progetti ha realizzato?
 
Segatori: Nel 1995 girai “Bestie” un corto di 7 minuti in bianco e nero e successivamente gonfiato in 35mm. Finimmo anche al “gabbio” per una sera, girammo infatti una sparatoria al Tufello, senza permessi, e un poliziotto in borghese decise di intervenire.
 
Malastrana: Come ricorda l’esperienza “Terra Bruciata”?
 
Segatori: La sceneggiatura di “Terra Bruciata” nasce in un periodo non sospetto, cioè prima del grande successo di “Pulp Fiction”, anche se nessuno ci crede. Lavorai con Pietro Innocenzi, avevo a disposizione 300.000.000 di lire. Fu il film che mi fece inserire nella lista calda della Miramax, una bella soddisfazione. Feci uno screening della pellicola alla Warner Bros., portai personalmente la pizza in 35mm allo studio. In seguito, entrai in contatto con Dino De Laurentiis, lavorai con lui ad un progetto per 7 mesi. Ma non se ne fece niente.
Malastrana: Quale progetto? E come fu il rapporto con Dino?
 
Segatori: Il rapporto fu ottimo, una grande persona, grande professionista, mi piace molto “rubare” dai grandi personaggi. Il progetto era intitolato “La Donna con la pistola”, pensammo a Sharon Stone per il ruolo di protagonista e facemmo pure un’offerta. Alla fine non se ne fece niente. Il produttore scappò con i soldi. Il film poi lo fece Neil Jordan con Jodie Foster, “Il buio nell’Anima”.
 
Malastrana: Prima di “Hollywood Flies” ha avuto la possibilità di girare altre opere?
 
Segatori: Nel 2001 girai il corto “Lupi”, un horror cannibalico con Laura Betti e Serena Autieri. Sono molto interessato agli stati di alterazione della realtà, sperimentare e trascendere il genere. Sempre nel 2001 ho avuto la possibilità di seguire un master con Tsui Hark, dal quale ho imparato a gestire la regia di più unità contemporaneamente.
 
Malastrana: Arriviamo così a “Hollywood Flies”. Che cosa ci può raccontare a proposito?
 
Segatori:Hollywood Flies” fu un progetto su commissione patrocinato da RaiCinema. Lavorai con Leo Pescarolo, che quando capì che non ero un raccomandato, mi prese in forte simpatia. Lavorai a stretto contatto pure con Aldo Lado, con cui ho un ottimo rapporto, tra l’altro ha appena finito le riprese di “Notturno Chopin”, il suo ritorno dietro la macchina da presa, per il quale ho curato il casting.
 
Malastrana: Il film è tratto da un romanzo di Alessandro Fabbri, com’era originariamente la sceneggiatura?
 
Segatori: La prima versione della sceneggiatura era una specie di ibrido, nel senso che era una cosa grottesca, che noi facemmo riscrivere completamente da Alan Moyle. Cosa che RaiCinema non apprezzò per niente. Non fu facile sul set, la troupe era tutta americana, di italiani c’eravamo solo io e l’aiuto regista. Sono comunque contento delle riprese, riuscimmo a realizzare 74 inquadrature in media ogni giorno, lavorando con quattro camere. Per i cast ai tempi chiesi Stefano Accorsi, un nome molto forte, ma non se ne fece niente. Scelsi quindi Antonio Cupo per il ruolo del fratello di Bianca Guaccero. Al primo screening, quelli di RaiCinema poi mi dissero che il cast era un pò debole, ah ah ah. Riuscimmo comunque a vendere il film in 38 paesi. Solo in Italia si è visto pochissimo.
 
Malastrana: Lei è un amante del cinema di genere o utilizza il genere per sperimentare con il linguaggio? E’ stato in qualche modo influenzato dal successo del film di Fragasso, “Milano Palermo Solo Andata”?
 
Segatori: Mi piace sperimentare, come ho già detto preferisco provare a trascendere il genere, piuttosto che lavorare su materiale già visto. Il cinema deve essere come una sorta di viaggio. Il film di Fragasso lo vidi al cinema perché mi ci portò Pescarolo, altrimenti non l’avrei visto.
 
Malastrana: Quali sono stati i progetti successivi e a cosa sta lavorando attualmente?
 
Segatori: Ho girato il documentario “Hollywood Dreams” sugli italiani che lavorano ad Hollywood come Alessandro Camon e Pietro Scalia e curato la sceneggiatura e la produzione di “Legami di Sangue” (Bloodties) 2009 di Paola Acuna. Ho seguito la post-produzione del terzo film di Mauro Borrelli, uno dei migliori concept artist degli Stati Uniti, “The Ghost-Maker”.
 
Malastrana: Progetti personali futuri? E’ ancora interessato ai documentari o ha intenzione di dedicarsi ancora al cinema di genere?
 
Segatori: In questi giorni sto dandogli ultimi ritocchi a un documentario patrocinato dalla Toscana Film Commission, “I Gladiatori  del calcio”, per il quale ho voluto sperimentare punti di vista inediti per il documentario sportivo, piazzando la telecamere direttamente in testa all’arbitro, proprio per far entrare lo spettatore nel mezzo della “battaglia”, tra sangue e sudore. Per quanto riguarda il cinema ho intenzione di girare in Sardegna un film epico alla “300”, tanto per capirci, intitolato “Le Pietre di Nur” tratto dal romanzo di Vindice Lecis. Ho pronta da tempo una sceneggiatura per una commedia intitolata “Ragazza a Mano Armata” che ho scritto con la mia compagna, per la quale ho già opzionato il cast, Sabrina Ferilli, Sabrina Impacciatore e altri nomi forti, ma che sembra non attirare per nulla i finanziatori. E dire che le potenzialità le ha tutte questo progetto, lo considero un cinepanettone al contrario.
 
Domenico Burzi

PROFILO

Nome: Fabio Segatori

Luogo e anno di nascita: Viterbo, 1962

Professione: regista/produttore cinematografico italiano.

Filmografia: 

Cinema

Il mistero di Rosa – cortometraggio (1991)

Bestie – cortometraggio (1995)

Terra bruciata (1999)

Lupi – cortometraggio (2001)

Hollywood Flies (2005)

Ragazze a mano armata (2014)

Televisione

Il cuore e le gambe (Herzog) – documentario TV (1989)

Hollywood Dreams – documentario TV (2006)

I gladiatori del calcio – documentario TV (2012)

Lo sguardo di Rosa – documentario TV (2018)

Guerrieri – documentario TV (2018)